
Riaffiorato alla luce grazie all’opera degli attenti studiosi che hanno condotto una lunga campagna di scavi archeologici.
E’ la riscoperta di un pezzo della memoria storica della civiltà. Per secoli, rimasto custodito sotto numerosi strati di terra, è riaffiorato alla luce grazie all’opera degli attenti studiosi che hanno condotto una lunga campagna di scavi archeologici. Si tratta della struttura di un suntuoso edificio risalente all’età Brettia, da collocare tra il IV e il III secolo a.C. , la cui scoperta è avvenuta a Tiriolo, paese posizionato al centro dell’Istimo di Catanzaro, e che vanta un ricco patrimonio artistico e culturale. L’opera di recupero è avvenuta in località Gianmartino in un’area che si estende a pochi metri dal luogo in cui, nel 1640, durante la costruzione di Palazzo Cigala, fu rinvenuta la famosa tavola bronzea contenente il Senatusconsultum de Bacchanalibus. Finanziati con fondi Por della Regione Calabria, i lavori sono stati richiesti dall’Amministrazione Comunale convinta del fatto che la cultura possa costituire il punto di forza per il rilancio economico del paese.Dopo il suo ritrovamento, il prezioso “bene” continua ad essere oggetto di studio e di ricerca da parte delle equipe degli esperti che attraverso gli scavi hanno potuto documentare le diverse fasi di costruzione, rifacimento e riuso dell’edificio. I materiali rinvenuti – come il carbone e la terra cruda bruciata – hanno testimoniato che la struttura è stata distrutta da un violento incendio che ne determinò il crollo e la sostanziale cancellazione. Finemente decorata con intonaci e mosaici, essa rappresenta uno straordinario unicum tra gli insediamenti di età Brettia finora documentati nell’entroterra catanzarese. I numerosi oggetti recuperati, come le monete in bronzo, le statuette votive, i contenitori per derrate alimentari, le maschere, di cui una campionatura è stata esposta all’interno del museo Antiquarium, rappresentano indizi preziosi per affermare che l’uso di quelle eleganti stanze potesse essere destinato inizialmente a un luogo di culto.
Per ridurre al minimo il rischio che il lavoro di scavo possa compromettere la conservazione della struttura dovrà seguireun’opera di restauro, e per i reperti mobili sarà necessaria anche la catalogazione e la sistemazione dei materiali, in modo da evitarne il deterioramento e renderli fruibili al pubblico.
Il territorio storico di Tiriolo conserva memorie storiche di cui la cultura calabrese è ben consapevole già da secoli, come attestano tutti gli storici umanistici, dal Fiore e altri a quello che riteniamo sia stato l’Ursano del XVII secolo: ne ho pubblicato l’edizione critica in VivariumScyllacense già nel 1995. L’Ursano, o chi fu, testimonia ritrovamenti archeologici già al suo tempo: monete, gioielli, l’acquedotto (“il giarrone grande”) di cui restano dei tubi nell’Antiquarium, e la Tabola, che dice essere stata trovata nel 1638 e non nel 40 come di solito si legge. Della Tabola parleremo più ampiamente un’altra volta.
Tiriolo è un luogo destinato alla storia dalla geografia. Si trova al centro delle antiche vie di comunicazione, quelle che del resto erano ancora le stesse, dalla preistoria, negli anni 1960: da Catanzaro a Cosenza; dal Tirreno al Reventino; tra il Corace e l’Amato… Donde le tracce protostoriche (Enotri? Siculi? certo, niente Feaci!), greche (Teira, forse connesso a Terina), bruzie, romane (agerTeuranus), romee o bizantine che dir si voglia, fino al prestigio del principato dei Carafa e dei Cicala. Né manca ancora oggi di una sua vitalità.
A Tiriolo riprendono indagini e scavi archeologici, da salutare con interesse e augurarsi che continuino proficuamente, per restituire alla Calabria la sua storia, o poco o male conosciuta, o soggetta a luoghi comuni lacrimatori o a esaltazioni altrettanto infondate.
Bisogna ricordare infine che il territorio storico di Tiriolo è molto più esteso di quello attuale. Sarebbe prezioso se dei ritrovamenti consentano di confermare che Settingiano è un “praediumSeptiminanum”, Gimigliano un “praediumGeminianum” o “Gemilianum”, e assieme a Gagliano e toponimi come Miglierina e Migliuso, e forse Marcellinara, attestino una via romana tra Ionio e Tirreno, quel tratto di cui Plinio scrive “nusquamangustiore Italia”, in nessun luogo l’Italia è più stretta; e che quattro secoli prima Dionisio il Vecchio voleva fortificare; e nel 71 a.C. Crasso contro Spartaco scavò un fossato.
Fermiamoci qui, solo per stuzzicare altre curiosità. Buon lavoro, Tiriolo.