Autobomba a Limbadi, tutti a giudizio. La mamma di Matteo: ” Ho temuto un nuovo rinvio”

di Gabriella Passariello

Tutti a giudizio. Il gup del Tribunale di Catanzaro Paola Ciriaco ha mandato a processo gli imputati  coinvolti nell’inchiesta sull’ autobomba di Limbadi che il 9 aprile 2018 ha causato la morte di Matteo Vinci, ex rappresentante di medicinali e il ferimento del padre settantenne Francesco Antonio. Si tratta di Domenico Di Grillo, Rosaria Mancuso, Vito Barbara, Lucia Di Grillo e Rosina Di Grillo, a cui vengono contestati, a vario titolo, una sfilza di reati: omicidio tentato e consumato, con l’aggravante del metodo mafioso, detenzione illegittima dell’ordigno esplosivo, minaccia, ricettazione, detenzione abusiva di armi, lesioni personali, estorsione e  rapina. Il processo a carico degli imputati inizierà il 17 settembre davanti alla Corte di Assise di Catanzaro. “Sono contenta dell’emissione del decreto di rinvio a giudizio- ha commentato la mamma di Matteo- appena è uscito l’esito del gup. Non poteva essere così, perché la verità riaffiora anche respirando. Ho avuto paura anche questa volta in un rinvio, ma ho avuto fiducia nella magistratura”. Un cavillo dovuto ad un difetto di nomina per il legale di un imputato. L’avvocato delle parti civili Giuseppe Antonio De Pace soddisfatto dell’esito dell’udienza preliminare ha commentato: “Si è sconfitto qualunque tentativo delle parti interessate per  frapporre cavilli e sconfiggere la giustizia”.

 

Il movente dell’omicidio e del tentato omicidio.  Alla base dell’omicidio ci sarebbero stati problemi di confine: Vito Barbara, Lucia Di Grillo e Rosaria Mancuso, identificati come gli ideatori e i promotori, avrebbero costretto i coniugi Francesco Antonio Vinci e Rosaria Scarpulla a cedere il fondo, sito a Limbadi, in contrada Macrea,  dei quali erano proprietari, solo perché quell’immobile era ubicato all’interno di una zona sottoposta al controllo della famiglia Mancuso. Avrebbero approfittato di un momento in cui Matteo Vinci si trovava in una zona isolata con il padre, “collocando o coordinando e disponendo che altri collocassero” una radio bomba  sotto la Ford Fiesta di Francesco Antonio guidata da Matteo, facendola poi esplodere, provocando la morte di Matteo “ per carbonizzazione, quindi tra atroci sofferenze”, con l’aggravante di aver commesso l’omicidio  con crudeltà, per futili e abietti motivi e con le tipiche modalità mafiose, causando, inoltre, al padre lesioni personali, ustioni di secondo e terzo grado, ponendo in essere atti diretti ad ucciderlo, “evento non verificatosi per la tempestiva fuga  di Francesco Antonio Vinci dalla macchina in fiamme”. A Vito Barbara, Lucia Di Grillo e Rosaria Mancuso viene contestato, anche, di aver  illegalmente detenuto, portato in luogo pubblico l’ordigno per l’esecuzione dei delitti e di aver  di distrutto la Ford Fiesta.

 Le minacce e le aggressioni.  Di Grillo, Rosaria Mancuso e Salvatore Mancuso (deceduto), avrebbero minacciato i coniugi Vinci a cedergli il fondo facendo leva sulla loro caratura criminale, sui collegamenti con la cosca Mancuso, in particolare con i fratelli  di Rosaria Mancuso e Salvatore Mancuso, (si tratta di Giuseppe Mancuso alias Mbrogghjia, Pantaleone Mancuso, alias Ingegnere, Diego Mancuso, alias Mazzola, Francesco Mancuso alias Tabacco, che occupano una posizione di vertice secondo quanto accertato sin dall’operazione Dinasty), e con la cosca dei Di Grillo- Mancuso in particolare con il figlio di Rosaria Mancuso e Domenico Di Grillo, Sabatino Di Grillo.  Secondo la Dda, il 14 marzo 2014, sarebbero state Lucia, Rosina Di Grillo e Rosaria Mancuso a bloccare Francesco Antonio Vinci trattenendolo dalle braccia, mentre Salvatore Mancuso lo avrebbe colpirlo al volto, alle braccia, alle gambe e poi si sarebbero scagliati contro Rosaria Scarpulla colpendola al volto. Vito Barbara, Domenico Di Grillo e Rosaria Mancuso sarebbero invece gli autori di una seconda aggressione avvenuta nell’ottobre del 2017 mentre Francesco Vinci si trovava da solo in campagna. In particolare, l’uomo sarebbe stato colpito al capo e al corpo con un’ascia (brandita da Domenico Di Grillo) ed un forcone (brandito da Vito Barbara) mentre Rosaria Mancuso li avrebbe incitati gridando “Ammazzatelo! Ammazzatelo!”.

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